Beppe Di Corrado da ilgiornale.it - 18 Agosto 2008
"Tuffati che non si vedono più le orecchie: in
acqua si confonde tutto, si scivola, si spinge, si respira, si riempie la vita.
Uno, due, tre, quattro, cinque, sei, sette, otto: Michael conta le medaglie
come i passi della danza, come il ritmo dell'esistenza. Non serve una melodia,
ma le battute che cadenzano le bracciate. L'iPod prima di lanciarsi in piscina
sta lì per quello: Phelps si concentra pensando alla musica che ha appena
sentito, al ritmo che gli è appena suonato dentro. Ricorda Rain Man, ti riporta
al pianista di Shine, fa pensare a Will Hunting. Il mondo dei geni ribelli o
autistici.
Michael sta in mezzo, né uno, né l'altro solo
per una bracciata. Phelps è un mostro, un superuomo, un fenomeno. Però è un
normale diverso: lo è stato da bambino, lo è adesso, lo sarà domani. L'acqua
gli ha dato una vita che l'aria non gli avrebbe garantito. Respira, spinge e
conta. La piscina cambia tutto: «Tuffati e non si vedranno più le orecchie» è
il consiglio che gli diede il primo allenatore. Perché Michael era un bimbo
complessato dalle parabole che gli fanno da contorno al viso.
A scuola lo prendevano in giro e lui reagiva
solo in due modi: menando o piangendo. In acqua non si vedono davvero, non
servono, ma non danno neanche fastidio. Fuori tornano evidenti e ingombranti,
stonate. Allora Phelps a bordo vasca è un'altra persona, torna il bambino impacciato
che era, quello incapace di fare qualunque altro sport: provò col baseball
prima e col football poi, fu una delusione, una schifezza, un fiasco. «Io so
solo nuotare», disse prima di Atene 2004. Lo fa come nessun altro nella storia,
poi esce dalla piscina e si svuota. Dopo l'Olimpiade greca si andò a schiantare
con la sua auto da ubriaco. Perché fuori non va, fuori non funziona. La vita è
a metà: nuota ogni giorno dell'anno, compresi Natale, Capodanno,
Ringraziamento, Indipendenza, Labour day. Dice che così ha 52 giorni di
allenamento più degli altri: è la giustificazione per l'anomalia di
un'esistenza che da asciutto gli deve sembrare troppo difficile. «La mia
giornata? Mangiare, nuotare, mangiare, dormire, mangiare, nuotare, mangiare,
dormire». L'acqua l'ha calmato, dice la madre Debbie che lo portò nella stessa piscina dove nuotava Hilary, una delle due sorelle di Phelps. Dorso, prima. Dorso perché Michael non riusciva a tenere il volto sott'acqua. Poi stile, rana, farfalla, tutto. Coperto d'acqua e dalle parole di Bob Bowman, il suo allenatore storico che oggi è l'unico uomo di questa storia di un'America di provincia e contemporanea: due genitori giovani negli anni Settanta, universitari e poi lavoratori della classe media, insegnante lei, poliziotto a cavallo lui, tre figli arrivati senza tanti pensieri, l'equilibrio rotto, le botte di lui, lei dall'avvocato, il divorzio.
Bye bye famiglia, bye bye serenità. Una casetta squallida in un sobborgo di Baltimora, una madre e due sorelle. La solitudine. Bob è l'amico, il fratello, il padre. Non è un caso che sia laureato anche in psicologia. Michael preferisce parlarne solo come un socio in affari: lo ascolta e insieme macinano milioni con gli sponsor, i dvd e i premi. Incassa Phelps e Bowman prende una percentuale. Lui continua a parlare mentre Michael nuota.
Foto: Al Bello/Getty Images Europe
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